È
forse superfluo ricordarvi, cari lettori, quanto l’ambiente dell’arrampicata
sia piccolo. Più che denominare tale ambiente un “mondo”, dovremmo più usare
parole tipo “piccolo borgo” o “paese” o al massimo “comunità”…
Capita
spesso soprattutto a chi viaggia tanto di incrociare le stesse facce, le stesse
persone di sempre, anche se quel viso che ti si palesa davanti sia associato a
luoghi magari lontani cinque o seicento kilometri. Si attiva così in te uno
strano scompenso emotivo, simile invero allo straniamento sklovskiano (passatemi, per favore, qualche vizio da
studente di lettere): lo osservi, lo riconosci, volgi lo sguardo al paesaggio e
noti che al posto della secca campagna reatina, dell’autostrada Roma -L’Aquila
proprio sotto di te o del mare di Sperlonga sei immerso nelle Alpi francesi,
sulle Dolomiti, sulle Cinque Terre, in un’isola greca ecc… Se come me non hai
nemici di nessun tipo ciò non potrà di certo rovinarti la giornata, però
sicuramente ti mette la pulce nell’orecchio, quel grilletto che saltella nel
tuo cervello comincia a danzare, fatti tuoi se a passo di walzer o di fox trot…
Le
riflessioni che nascono sono tante; alcune molto romantiche, quali sui valori
reali dell’arrampicata, sulla passione che questo sport ti inietta sempre più,
sulla bellezza e la gioia di esser parte di una comunità ecc, magari un giorno
nascerà un articolo su ognuna di esse; oggi tuttavia preferisco intraprendere
il sentiero a sinistra della y
pitagorica, ovvero la via che all’aspetto sembra più rigogliosa, ma che in
realtà si scopre piena di insidie: the
highway to hell del mio intelletto.
Neanche
ho cominciato che già mi ritrovo fuori tema. Dicevamo: from Rome… with love.
Per
introdurvi all’argomento vi racconto velocemente il mio splendido viaggio
dell’estate appena passata: sono partito da solo, in direzione di Biella, città
natale di tre miei cari amici scalatori, che mi hanno accolto e hanno avuto la
voglia di organizzare la loro vacanza con me, scalatore sì, per loro molto
simpatico spero ancora di sì, ma sempre ragazzo conosciuto e frequentato a
Ceuse due anni fa, e da lì basta. Per fortuna siamo stati benissimo e il nostro
legame si è rafforzato molto; direte voi: - ma quindi con ciò cosa vorresti
dire?-
Tutto
ciò per ragionare su quanto sia differente la realtà del centro Italia rispetto
alla realtà nordica. Io sono orgoglioso di aver passato giorni splendidi con
loro, tuttavia mi rattrista il fatto che a Roma, la capitale, la città più
densamente popolata dello stivale scarseggino a tal punto giovani appassionati a
questo sport, e non oso immaginare la realtà da Roma in giù.
In
vacanza mi guardavo attorno e vedevo orde di ragazzi e ragazze al mitico
campeggio di Ceuse proveniente da tutto il mondo e, solo dopo (ma è già
qualcosa) dal Nord Italia, più me!
Non
me ne vogliano gli amici romani ma fu veramente bellissimo: la linfa vitale
dello sport e dell’entusiasmo giovanile scorreva liberamente nelle vene dei
presenti, mi sentivo parte del futuro dello sport che amo; ero insieme a gente
entusiasta di quello che stava facendo, entusiasta di poterlo fare per altri
venti, trenta o quarant’anni (con buona pace dei brands del settore). A Roma i ragazzi che praticano l’arrampicata
esistono, ma sono una rarità. Inoltre le difficoltà logistiche di Roma non sono
certo da spiegare in questo semplice articolo ( vi basti pensare che il G.R.A.
ha un diametro di più di settanta kilometri e che il costo della benzina è
esageratamente più alto rispetto al nord), ma di certo la situazione
metropolitana non facilita gli incontri. Sfumati quei due o tre ragazzi con cui
sarei potuto partire (io, ripeto, sono un ragazzo fortunato) molti avrebbero
rinunciato al viaggio. Ne risulta, in breve, che il panorama romano è assai
arido di investimenti sui giovani, che manca la cultura di base, la giusta
pubblicità, la corretta professionalità nell’operare in un settore così
specializzato. Proprio per non lasciar nulla nella fitta nebbia della vaghezza,
ritengo opportuno soffermarmi su degli esempi precisi: nella maggior parte
delle palestre ci si improvvisa istruttori senza aver seguito nessun corso
preparatorio organizzato dalla federazione; non esiste una sana concorrenza fra
le palestre: i prezzi delle stesse sono spesso esageratamente alti
(relativamente ai servizi offerti) e, è brutto dirlo, invece di tentare di
superare le altre sedi con impegno, aggiornamento del servizio, stimolo alla
crescita, investimenti, organizzazione di eventi e feste, la maggior parte di
esse (soprattutto le più antiche…) non perde l’attimo per denigrare il nome
degli altri, insomma, sembra più una lotta fra bande che una normale dialettica
di mercato, con un occhio quindi il più possibile sul vicino, piuttosto che sul
cliente. Quale è il risultato di questa illuminante politica? Molte semplici sedi
di allenamento sembrano dei clan comandati da santoni / filosofi / guru scesi
in Terra per divulgare il Verbo; le conseguenze sono ovviamente la totale mancanza
di cooperazione tra palestre e l’assenza di norme che promuovano una filosofia
comportamentale generale. Accade così che nelle falesie limitrofe vedi senza
ritegno comitive di gente affidata agli “istruttori” della palestra (anche
pagati profumatamente fra l’altro). È totalmente assente una politica di
collaborazione con le scuole, dall’asilo all’università (chiedete a Roma Tre:
gli sport praticati sono calcio a 11,
a 8 e a 5, scacchi, tresette, beach volley, pesi e ping
pong…) o con gli enti municipali preposti. La domanda più frequente che ti
pongono i ragazzi è se usiamo dei guanti quando scaliamo, o per lo meno
piccozze e ramponi; “and the last but non the least” da Firenze in giù siamo
completamente tagliati fuori dai circuiti nazionali di Coppa Italia, forse la
tappa più “terrona” è Padova…
E
nessuno muove un ciglio, o meglio: nessuno riesce a muovere un ciglio. Conosco
molti amici che hanno come sogno nel cassetto dare una svolta a questa
situazione assurda, oltre i limiti del ridicolo, ma non esiste modo di sbarcare
il lunario, tanto è ardua e labirintica la burocrazia per aprire un’impresa
nuova.
Sogno
feste ed eventi come quelle che ogni settimana puntualmente si organizzano in
paesi come la Germania
(vedi l’ultimo Adidas rockstars a
Stoccarda), anche paradossalmente più poveri di noi dal punto di vista
ambientale e soprattutto culturale; sogno di potermi allenare in un’ adeguata
struttura artificiale in altezza; e sogno soprattutto che nasca l’entusiasmo di
investire su uno sport in un territorio immenso come quello della capitale che,
se non è completamente vergine, è sicuramente arcaico e rudimentale.
Quest’estate ho notato il piacere, estero soprattutto, di investire fortemente
sui giovani di talento e, se al nord questa situazione è rara, al Centro e al
Sud si può definire quasi completamente assente.
Se
volessi diventare stucchevole potrei continuare ancora per molto questa lista
di cose da fare o da migliorare, ma non è ciò che intendo
fare. Amo la mia città e questo sport, e le critiche fini a se stesse non
ritengo abbiano una vera utilità. Se critico è sempre perché, oltre a sentire
l’esigenza di un miglioramento, credo fermamente nelle possibilità di tale
miglioramento.
E
credo soprattutto alla gente di Roma: grinta, tanta passione e fantasia. Mi
vengono in mente persone come Alessandro Marinaro, tra i primi boulderisti del
centro Italia, pioniere del sassismo laziale, per amore giardiniere annuale da
più di quindici anni di posti climaticamente nemici come Vitorchiano e Soriano;
persone come Bruno Vitale, fedele custode di Sperlonga e del Gran Sasso, una
vocazione la sua (nel vero senso della parola). È troppo poco tempo che sono
nell’ambiente e parlo forse ingiustamente di cose che non conosco, ma mi viene
in mente Alessandro Jolly Lamberti, primo 9a italiano in assoluto, lui, guida
alpina alle periferie del mondo che conta. Via di placca old school che i climbers
più affermati della nuova generazione tentennano sempre a provare.
Sono
di parte? Sì forse un po’, ma perché mi accomunano a loro la grande passione
per questo sport, perché dentro di me riesco a comprendere i loro sforzi
giganteschi (ho citato le prime tre persone balenatemi in mente).
Nell’auspicio
che queste mie parole siano state di vostro gradimento, rimando a voi la giusta
diffusione dell’articolo. Consapevole sempre del fatto che questo semplice
scritto non migliorerà la situazione seduta stante, mi permetto, per
concludere, di citare un grandissimo lottatore
italiano, perché amo profondamente il significato delle sue parole (sebbene
sempre di un semplice sport si discute), Antonio Gramsci parlò così l’11
Febbraio 1917, di certo non riguardo all’arrampicata:
«L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria,
non è vita. Perciò odio gli indifferenti.[…]
L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera
passivamente, ma opera. È la fatalità;
è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i
programmi, che abbatte i piani meglio
costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. […]
E allora sembra sia la fatalità a
travolgere tutto e tutti»
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